I ventenni, una generazione sospesa tra identità fragili, aspettative familiari e disorientamento esistenziale

C’è una generazione silenziosamente in crisi, che si aggira tra aule universitarie, lavori precari e profili social, portando con sé un senso profondo di smarrimento. Sono i ventenni di oggi. Una generazione apparentemente iperconnessa e aggiornata, ma internamente disorientata, incapace di riconoscersi in modelli stabili e in difficoltà nel costruire un’identità solida e coerente.

Per molti giovani adulti, il bisogno di approvazione si scontra con una profonda ambivalenza: desiderano essere visti, ma temono lo sguardo dell’altro. Chiedono attenzione, ma quando la ottengono si sentono sotto pressione, giudicati, persino invasi. Questo paradosso è il riflesso di un’identità fragile, non ancora definita, che fatica a trovare uno spazio sicuro dove esprimersi.

La famiglia d’origine ha spesso un ruolo ambivalente in questa dinamica: da un lato è il principale punto di riferimento affettivo, dall’altro rappresenta una fonte potente di aspettative e pressioni. Molti ventenni vivono in una costante tensione tra ciò che “dovrebbero” essere – secondo i genitori, la società o un ideale interiorizzato – e ciò che sentono di voler essere, ma che non sanno ancora definire. Questa distanza genera confusione, insicurezza e, a volte, una paralisi nelle scelte.

L’università, che un tempo era il ponte verso la realizzazione professionale, è oggi spesso vissuta come un limbo. Gli esami diventano ostacoli insormontabili, non solo per difficoltà oggettive, ma perché il senso stesso di quel percorso viene messo in discussione. “Che me ne faccio di questa laurea?”, “Davvero voglio fare questo nella vita?”, “E poi, ci sarà davvero un lavoro per me?”. Domande che emergono in una realtà dove la linearità del passato – studio, lavoro, indipendenza – non esiste più.

Il tempo si dilata.

I vent’anni non sono più l’età delle grandi conquiste, ma spesso un’estensione dell’adolescenza. Questo “prolungamento” non è necessariamente negativo, ma può diventare fonte di frustrazione se non è accompagnato da un senso di direzione.

L’ingresso nel mondo del lavoro è un altro nodo critico. I ventenni di oggi non solo fanno fatica a trovare un impiego, ma soprattutto non sanno che lavoro desiderano fare. Spesso non riescono a immaginare un futuro professionale che li rappresenti. I modelli lavorativi tradizionali non li ispirano più, mentre le nuove professioni – digitali, ibride, flessibili – sono percepite come nebulose o inaccessibili.

La precarietà, inoltre, non è solo economica, ma esistenziale: non avere un lavoro stabile significa, per molti, non avere un posto nel mondo. Questo alimenta un senso di inutilità e, nei casi più critici, può sfociare in vissuti depressivi o nell’autoesclusione.

Dal punto di vista psicologico, si osserva un indebolimento del processo di individuazione, cioè quella fase evolutiva in cui l’individuo si differenzia dai genitori e costruisce la propria identità. Molti giovani sembrano sospesi tra dipendenza emotiva e desiderio di autonomia. Vivono relazioni fluide, spesso incerte, e mostrano grande difficoltà nel sostenere frustrazioni e attese.

Le emozioni – forti, complesse, mal canalizzate – prendono spesso la forma di ansia, senso di colpa, insicurezza, talvolta anche sintomi somatici o comportamenti regressivi. Ma più che una patologia, si tratta di un malessere di senso: un bisogno profondo di riconoscersi, di appartenere, di sentirsi agenti della propria vita.

Una generazione sensibile e interrotta:

Nonostante (o forse grazie a) queste fragilità, i ventenni di oggi sono una generazione profondamente sensibile, attenta al benessere psicologico, aperta alla diversità, interessata al cambiamento. Ma sono anche una generazione “interrotta”, che ha vissuto negli anni formativi eventi destabilizzanti – crisi economiche, pandemia, instabilità globale – e che fatica a scrivere la propria narrazione.

Hanno bisogno di essere ascoltati senza essere etichettati, accompagnati senza essere spinti, riconosciuti nei loro tempi e nelle loro contraddizioni. Non sono “sfaticati” o “fragili”, ma stanno solo cercando di orientarsi in un mondo che è cambiato troppo velocemente, senza offrire punti di riferimento solidi.

La crisi dei ventenni non è un fallimento individuale, ma un fenomeno collettivo che parla della nostra società, dei modelli educativi, della cultura del successo e dell’efficienza. Prendersene cura significa offrire spazi di ascolto, esperienze di senso, possibilità di errore e di ripartenza. Solo così potranno smettere di sentirsi fuori posto e iniziare a costruire, con le loro mani, un posto nel mondo che sentano davvero loro.

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