Perdere un genitore o una figura di riferimento importante per un bambino è un trauma in quanto minaccia il suo senso di sicurezza e gli fa vivere una serie di emozioni che possono renderlo spaventato e confuso.
Come parlare ai propri figli quando viene diagnosticata una malattia invalidante o un tumore?
Innanzitutto non bisogna pensare di proteggere i bambini, qualsiasi sia la loro età, tacendo. I bambini hanno il diritto di sapere quello che sta accadendo e che loro sicuramente hanno già percepito ma non mentalizzato. Questo impedirà di farli sentire isolati all’interno del sistema familiare (non sono importante, non valgo…) e di sviluppare uno stato di ansia conseguente all’incertezza del percepire ma non sapere. I bambini non devono pensare che le emozioni provate e l’argomento siano talmente drammatici da non poter essere neppure pensati ma devono invece essere facilitati nell’espressione dei loro sentimenti. Condividere le emozioni e l’impegno nella malattia non farà sentire il bambino meno triste per quello che sta accadendo ma sicuramente lo farà sentire meno in balìa delle proprie emozioni e meno timoroso per quello che riguarda la propria sopravvivenza e il proprio futuro. Aiuterà anche il bambino a sentirsi meno colpevole per quello che fa o non fa con un conseguente senso di colpa o di inettitudine.
Chi dovrebbe informare il bambino? Quando farlo?
Solitamente succede che a parlare con il figlio sia il genitore non malato. Non sempre questa è la decisione migliore. Se il genitore malato è consapevole della malattia e ha accettato la prognosi (talvolta infausta) superando una serie di fasi di elaborazione, potrebbe essere la persona più adatta.
Il genitore ammalato, esprimendo liberamente le proprie emozioni, manda il forte messaggio che anche il figlio è libero di esprimerle e soprattutto che è normale provarle (emozioni come la rabbia ad esempio potrebbero essere represse perché giudicate fuori luogo).
Sarebbe meglio informare i bambini fin dall’esordio della malattia in modo da fortificare il messaggio “SE NE PUO’ PARLARE”.
Inizialmente si può comunicare che qualcosa non va, che il genitore è ammalato, che il genitore dovrà subire dei trattamenti che potrebbero dar luogo a modificazioni corporee importanti, che la routine familiare subirà dei cambiamenti, che mamma o papà potrebbe essere più stanca/o e/o irritabile. In questo modo il bambino non scoprirà in modo traumatico quello che inevitabilmente l’esito di certe cure comporta e non si sentirà lui responsabile per lo stato d’animo del genitore.
L’informazione data dovrebbe essere adeguata all’età e al livello di sviluppo raggiunto. L’ascolto attento dei figli permette di capire cosa vogliono e cosa temono.
COSA NON FARE
1. NON MENTIRE
2. NON RACCONTARE OLTRE LA LORO CAPACITA’ DI COMPRENSIONE CREANDO COSì DELLE PAURE DIFFICILMENTE GESTIBILI
3. NON FARE PROMESSE CHE NON POSSONO ESERE MANTENUTE
4. NON COSTRINGERLI A PARLARE SE NON VOGLIONO
Quando ci si ammala è importante lottare e non gettare la spugna mai, però dire al bambino che certamente si guarirà, qualora questo non dovesse accadere, getta le basi per la non fiducia nell’essere adulto. Il genitore potrà quindi dire al bambino che non sa quello che accadrà ma certamente lui ce la metterà tutta per stare meglio.
Se il genitore si ammala di tumore ciò che prevale è l’incertezza, l’incapacità di prevedere cosa accadrà nel futuro più vicino. Il clima familiare ovviamente è influenzato da questo stato d’animo ma anche dai cambiamenti che una terapia può produrre (incapacità di svolgere le stesse mansioni di prima, cambiamenti fisici importanti, grandi assenze da casa…)
Per quanto possa risultare faticoso e difficile è meglio cercare di mantenere più possibile le stesse abitudini anche se a svolgere certe mansioni sarà un parente o l’altro genitore. I bambini si sentiranno così rassicurati dalle loro routine e dal fatto che qualcuno li protegge e non sono in balìa degli eventi.
Anche il mantenimento delle regole è importante per rassicurare il bambino. Se improvvisamente a lui viene permesso tutto avrà la conferma che la situazione è grave e questo può generare un’angoscia molto profonda e una serie di comportamenti disadattivi.
Come dire le cose a secondo del periodo evolutivo
Una premessa per tutte le fasi evolutive: i bambini esprimono il loro mondo emotivo sulla base di quello che vedono fare agli adulti. Se in casa si parla delle proprie emozioni ( e le si esprimono) anche loro lo faranno, se queste sono invece dei tabù difficilmente il bambino si permetterà la loro espressione.
Tristezza, rabbia, paura…sono emozioni che è normale vivere in talune situazioni.
I bambini possono soffrire i cambiamenti e le limitazioni che la situazione impone diventando ad esempio poco comprensivi, capricciosi. La conseguenza è il senso di colpa che spesso si traduce in comportamenti eccessivamente misurati o in un attaccamento morboso al genitore per paura che in sua assenza possa succedergli qualcosa.
0-5 anni
La paura principale dei bambini è quella di essere abbandonati e di essere lasciati soli. I bambini temono ogni separazione.
Il genitore malato, quando viene ricoverato, dovrà rassicurare il bambino, mantenere un contatto che può essere telefonico ma fatto anche di piccoli gesti che fanno capire al piccolo che mamma/papà pensa a lui (ad esempio mandargli un disegno, fargli leggere dall’altro genitore una favola scelta dal genitore ricoverato…) e che permettono al bambino di sentirsi in contatto col genitore (fargli fare i disegnini da portare in ospedale può essere un buon modo). Quando il genitore è a casa può coinvolgere il bambino (ad esempio può portare a letto da bere o da leggere…) in modo da non farlo sentire escluso e impotente.
Questa fascia d’età è caratterizzata dall’egocentrismo e dal “pensiero magico”, cosa vuol dire? Il mondo ruota attorno al bambino sia nel bene che nel male. Il bambino vede il mondo attraverso la propria lente e si sente responsabile per quello che accade. Ecco allora che può pensare di guarire un genitore attraverso il suo agire o, peggio ancora, che una sua azione abbia determinato l’evento negativo (non ho messo a posto i giocattoli, la mamma si è arrabbiata e poi si è ammalata. E’ colpa mia).
A un bambino fino ai 5/6 anni di età si dice quindi quello che per lui è già evidente, cioè che il papà, ad esempio, è molto malato, che sta lottando contro la malattia, prendendo le medicine e facendo tutto quanto il possibile. Il bambino molto piccolo deve sapere anche che non è colpa sua se il papà si è ammalato: non è successo perché ha fatto il cattivo, ma perché le persone si ammalano indipendentemente da quello che succede attorno a noi.
Fondamentale è anche rassicurarlo sul peggiorare dell’aspetto fisico del genitore (soprattutto in caso le modificazioni siano palesi): “anche se cambierà il suo fisico e il suo umore continua ad essere tuo padre”, così come incoraggiarlo ad esprimere le proprie emozioni. Quando i bambini tacciono e non fanno domande, infatti, non è solo per paura ma anche per proteggere il genitore sopravvissuto, evitando così di sollecitare il suo dolore.
Non è necessario dire a un bambino così piccolo che il papà morirà: lo sentirà appena successo o nell’imminenza dell’evento.
In aggiunta al dolore causato dalla perdita del genitore, il bambino avrà anche la paura grande che il genitore sopravvissuto possa morire da un momento all’altro. Sebbene non si possano mai dare delle certezze a questo proposito, è necessario rassicurarlo.
6-11 anni
In questa fase evolutiva il bambino potrebbe essere incapace di esprimere i propri vissuti e sentirsi eccessivamente preoccupato. Possono comparire disturbi del sonno, dell’appetito, dell’attenzione, di relazione (è sempre meglio avvertire le insegnanti di quello che sta accadendo). Possono svilupparsi fobie scolari per mantenere la situazione sotto controllo.
Per quello che riguarda le informazioni da dare rimanere sempre sulla rotta della verità ma non entrare troppo nei dettagli.
Adolescenza
Risulta difficile generalizzare dei consigli per l’adolescente in quanto ogni ragazzo è un essere a sé con problematiche legate allo sviluppo e all’autonomizzazione diverse. In linea generale si può comunque dire che proprio questo processo di autonomizzazione potrebbe essere intaccato dando luogo a regressioni oppure ad eccessive adultizzazioni.
Quando il genitore muore
Come dare la notizia? Sarebbe meglio che a parlare con il bambino fosse il genitore superstite stimolando nel figlio l’espressione delle sue emozioni, non preoccupandosi se a piangere saranno in due. Il bambino avrà bisogno di essere abbracciato, baciato, coccolato.
Se il bambino è molto piccolo bisogna stare attenti alle parole che si usano, non si può parlare di lunghi viaggi intrapresi dal genitore morto ad esempio ma, con le parole giuste, far capire che quel genitore non è raggiungibile e non tornerà mai più. Il bambino potrebbe sentirsi colpevole o abbandonato, bisognerà fargli capire che quello che è successo non è colpa di nessuno, ne sua ne del genitore morto.
Nel dare la notizia non indurre stai d’animo (so che quello che sto per dirti ti renderà tanto triste…) ma lasciare che sia il bambino a sfogarsi in sintonia con quello che prova (magari è arrabbiato per l’abbandono…)
Per qualche settimana il bambino potrà essere più “appiccicoso”, richiedere un eccessivo contatto fisico, essere teso, irritabile…Se questo stato perdura a lungo bisogna interrogarsi su cosa sta bloccando il processo di elaborazione della perdita.
Ci si pone poi la questione se portare o meno i bambini al funerale. Sarebbe sempre meglio coinvolgere il bambino nell’ultimo saluto al genitore anche se, personalmente, ritengo importante almeno chiederglielo, spiegargli cosa succede al funerale, spiegargli che vedrà e persone piangere, e poi lasciare a lui la scelta parlandogli anche di quello che lui potrebbe provare un domani qualora non volesse essere presente e consolandolo a tale proposito (potresti sentirti in colpa ma mamma/papà sarebbe d’accordo con te se non vuoi venire, lei/lui sa che gli hai voluto e gli vorrai sempre tanto bene anche se non ci sarai il giorno del funerale). Il bambino potrebbe preparare anche un dono da lasciare al genitore.
Non ci sono parole giuste o sbagliate ma ci sono solo le parole, la condivisione delle emozioni, la trasmissione delle proprie personali credenze religiose e filosofiche.
Un bambino in lutto ha bisogno di riprendere al più presto la propria routine, di sapere che il suo mondo sarà ancora sicuro e che ci sarà sempre chi si prende cura di lui.