RIABILITAZIONE EQUESTRE

RIABILITAZIONE EQUESTRE

La terapia riabilitativa è il frutto di una serie di  cambiamenti avvenuti negli ultimi anni dove  anche il mondo sanitario ed assistenziale ha trovato spinte per adeguare la propria azione verso la prevenzione, il recupero, il reinserimento sociale ed il miglioramento della qualità della vita. Si vanno via via sviluppando gli studi teorici e le applicazioni pratiche  entro cui si inserisce, sicuramente con un alto profilo, la riabilitazione equestre che ha tutte le caratteristiche per proporsi come intervento globale ed olistico per ridurre le situazioni di svantaggio fisico, psichico e sociale.
Per riabilitazione equestre si intende quindi quell’ insieme di attività organizzate attorno all’uso del cavallo avendo come finalità quelle:

–                     terapeutico-riabilitative;
–                     educativo-formative
–                     integrative, per il superamento del disagio sociale.

La “Riabilitazione Equestre” si riferisce ad una applicazione a scopo riabilitativo e curativo che fa uso del cavallo che sfrutta non solo le stimolazioni motorie che l’andatura trasmette al paziente ma anche le emozioni che l’animale suscita. Il congresso di Amburgo del 1982 ha articolato la R.E. in tre moduli più il volteggio:

1. IPPOTERAPIA: intervento prevalentemente indicato per affrontare le disabilità motorie e neuro-motorie per un’efficace rieducazione posturale –propriocettiva (vengono sfruttate le qualità fisiche e dinamiche del cavallo al passo utilizzato senza sella). Si tratta di una rieducazione essenzialmente fisica dove il cavaliere riceve ben sei ordini di stimoli sensoriali: tattili, acustici, visivi, olfattivi, vestibolari e propriocettivi
2. La RIEDUCAZIONE EQUESTRE dove il paziente viene avviato alla conduzione autonoma del cavallo tramite cui perseguire obiettivi rieducativi cognitivo – prussici (vengono utilizzate sella e redini);
3. La PRESPORTIVA con finalità terapeutiche principalmente di tipo cognitivo e relazionale (rivolta a soggetti che, avendo acquisito autonomia col cavallo possono interagire col gruppo),
4. VOLTEGGIO. Rivolto a soggetti con disturbi cognitivo – comportamentali e si propone di migliorare il rispetto delle regole, le sequenze spazio temporali e la collaboratività del gruppo

Il cavalcare rinforza le potenzialità motorie, stimola le facoltà intellettive (attenzione, memoria, concentrazione); richiede stabilità emotiva e dell’umore; obbliga ad un comportamento tranquillo ed, infine, potenzia la volontà di stabilire una relazione positiva con il cavallo. Questo, seppure docile, tollerante e “addestrato”, è pur sempre un animale che non tollera comportamenti strani e gesti incoerenti, non viene a compromessi come invece fanno i caregivers.
Proprio per tutto questo è fondamentale il lavoro del terapista (persona che deve essere qualificata sia per quello che riguarda la conoscenza del cavallo che per quello che concerne la conoscenza del paziente e le modalità di approccio terapeutico) ogni qualvolta sia necessario mediare e favorire la canalizzazione delle pulsioni aggressive o diminuire il livello dell’ansia e della tensione che interviene.
Un programma di R.E. si può iniziare dall’età di 18 – 24 mesi su prescrizione medica e dopo valutazione dell’equipe specialistica e osservazione sul campo.
La riabilitazione equestre non è un puro e semplice “andare a cavallo”, ma una vera terapia.
Infatti:

–         si utilizza il setting terapeutico, rappresentato dal maneggio, per mantenere un certo grado di ritualizzazione che viene accentuata, strutturalmente, per dare un senso preciso all’accoglimento, all’incontro e alla “consegna” della la madre alla terapista che acquista e dilata  importanti valori simbolici;
–         sebbene si mantenga un’atmosfera di allegria e di incontro armonioso, il paziente percepisce l’obiettivo terapeutico-educativo-formativo dovendo accettare le regole e le spinte verso il far crescere le sue potenzialità ed il correggere posture e/o atteggiamenti devianti o dannosi;
–         il bambino accetta questo atteggiamento riparatore dimostrando non solo di adeguarsi, ma anche di partecipare attivamente al recupero di funzioni ed allo sviluppo di capacità oltre che di personalità;
–         il disabile che a terra dimostra tante difficoltà, quando sale sul cavallo percepisce una diversa immagine di sé, più valida, imponente, più positiva e da qui prende avvio quell’autovalorizzazione che significa una nuova presa di coscienza;
–         l’immagine simbolica del cavallo è fondamentale per dare slancio e desiderio di fare dell’equitazione e ciò è dimostrato dall’entusiasmo e dall’orgoglio messo in mostra dai bambini nelle loro relazioni con i compagni;
–         i disabili non imparano ad “andare a cavallo”, bensì a sviluppare una attività equestre che comporta:

il saper stare in sella con stile (che è quello all’inglese: cioè con le due mani sulle redini),
il poter affrontare tutte le situazioni provocate da reazioni anche improvvise del cavallo,
il rispettare gli ordini, le modalità di volteggio, le priorità nello spostarsi in gruppo;

–         è una attività che comporta scelte, attenzione, volontà, rispetto dell’animale, degli altri cavalieri e del setting, tenuta, affetto verso il proprio “compagno” e, soprattutto, indipendenza ed autodeterminazione. Inizialmente, invece, l’ippoterapia era “passiva” poiché si pensava che fosse solo il movimento del cavallo a produrre benefici;
–         la terapista osserva attentamente le evoluzioni e l’impegno motorio per poter guidare il disabile a raggiungere gli obiettivi di:

•        rinforzare i muscoli del tronco e del collo;
•        sviluppare le strutture muscolari di cosce e gambe;
•        acquisire coordinazione oculo-motoria;
•        far crescere la capacità di orientamento spaziale e temporale;
•        saper partecipare ad evoluzioni, in gruppo, che richiedono attenzione, precisione ed un grande rispetto delle regole perché movimenti incontrollati possono
mettere a repentaglio l’incolumità dei partecipanti al lavoro;

–         da queste osservazioni si evince che la riabilitazione equestre è un intervento di riabilitazione globale, che spinge il soggetto disabile a non fissarsi sulle proprie limitazioni, ma a credere nelle reali possibilità di crescere e di trovare un proprio ruolo;
–         le terapiste spesso fanno partecipare i ragazzi alla preparazione dei cavalli: mettere la sella, collocare i finimenti, pulirli, spazzolarli, liberare gli zoccoli dal fango accumulato. Dopol’attività il cavallo viene premiato con una carota o una mela direttamente dal cavaliere. Questi compiti servono a sviluppare ancor più quel vincolo affettivo che lega il disabile al proprio cavallo;
–         il piano di lavoro è sempre spiegato ai pazienti, così acquistano una chiara visione degli obiettivi e dei risultati e non si fermano a considerare solamente quanto sia “pesante” la pratica;
–         dopo le prime sedute nelle quali il cavallo è tenuto da un ausiliario, i disabili imparano ad andare da soli e, quindi, a guidare; questo è sempre un grande passo in avanti perché implica un enorme aumento del senso di autovalorizzazione, sulla base della scoperta di capacità, di efficienza e di precisione nei rapporti con il cavallo;
–         le sedute di riabilitazione equestre solitamente sono settimanali e durano mezz’ora (a cavallo, più altrettanto tempo dedicato ai lavori a terra), ma possono diventare di un’ora ed anche bisettimanali. Non si pensi che questo sia poco poiché l’impegno nella terapia è veramente intenso e stanca; è importante mantenere quel desiderio che porta i bambini ad accettare il lavoro.
Questa pratica terapeutico-riabilitativa interessa diverse aree:

1. Sviluppo e potenziamento muscolare: l’utilizzo del cavallo porta a sviluppare la muscolatura assiale (tronco e collo) con notevoli miglioramenti dell’equilibrio statico e dinamico, della stazione eretta, dei movimenti del tronco ed anche delle gambe e delle braccia. I progressi nella coordinazione motoria permettono la crescita e lo sviluppo, abbandonati in precedenza con l’instaurarsi della “malattia”. Va sottolineato che nell’autismo, il “terrore di distruggere il mondo” (dimensione pantoclastica), blocca sia la spinta alle relazioni, determinando l’isolamento, sia l’iniziativa psicomotoria, così da indurre limitazioni che si traducono anche in ipotrofie muscolari ed in deformazioni osteoarticolari.
2. Orientamento spaziale: muoversi nelle quattro direzioni e raggiungere determinati punti che costituiscono uno schema geometrico, compiere linee rette, curve o sinusoidali, stimolando l’equilibrio, inducono una presa di coscienza di uno spostamento nello spazio e di un orientamento spazio- temporale. Questo dimensionamento acquista valore di orientamento ed equilibrio psichico poiché stimola molteplici valenze cognitive ed anche affettive, relative alla volontà, alla tenacia, all’attenzione ed al rispetto degli ordini.
3. Abilità visuo-spaziali semplici e complesse: il cavalcare è un vero equilibrio di coordinamenti dal momento che, accanto a quello del corpo per mantenere il tronco eretto e adeguatamente flessibile per permettere l’equilibrio dinamico, c’è anche quello che riguarda le gambe e le braccia. Il controllo oculare della posizione degli arti, dei piedi e delle mani nel loro rapporto con le redini, le staffe, il cavallo, lo spazio è un vero equilibrio di coordinamenti sensoriali e muscolari. La percezione di queste dinamiche porta ad un tale arricchimento emotivo e cognitivo che, per la necessità di essere continuamente modificate ed adeguate alla situazione, risultano importantissime per lo sviluppo della coscienza di Sé e per la “scoperta” delle proprie potenzialità, capacità e determinazione.
4. Integrazione relazionale: il timore iniziale induce una particolare concentrazione ed attenzione che risultano centrate sulla relazione. Il triangolo soggetto-terapista-cavallo subisce un aumento dell’entropia legata a tendenze fusionali (spinta ad abbracciare il cavallo e/o la terapista come farebbe con la madre reale), all’emozione piacevole del dondolio provocato dai movimenti del cavallo, al muoversi in una situazione di relativo silenzio, poiché si cammina sul terreno soffice del maneggio. Attenzione, volontà, contrasto, desiderio, sorpresa sono tutte funzioni che stimolano ed arricchiscono l’esperienza e vengono utilizzate dalla terapista per modulare e controllare il “momento terapeutico”.
L’attività equestre non è un obiettivo, né cavalcare un processo terapeutico: lo spazio terapeutico coinvolge il cavallo in una globalità che investe, oltre al piacere (ludico-ricreativo) anche altri piani: fisico e motorio; relazionale e affettivo; psichico (immagine di sé e fiducia).
In questo modo, la rieducazione attraverso il cavallo è, allo stesso tempo, motoria, emotiva, affettiva e cognitiva. Il cavaliere è attivo; con i suoi atti e le sue scelte agisce sul cavallo e, così, può prendere meglio coscienza di se stesso.
Con queste considerazioni si può concludere che il medico e/o il fisiatra può consigliare l’uso dell’ippoterapia ogni qual volta osserva deficit funzionali neuro-motori e ogni qualvolta si voglia ottenere:

– un miglioramento della mobilità articolare;
– un miglioramento dell’equilibrio;
– un miglioramento della coordinazione;
– un miglioramento   del mantenimento del tronco eretto e del capo-collo;
– un rilassamento della spasticità;
– il controllo delle risposte scoordinate;
– un aumento della forza muscolare.

Sono stati predisposti protocolli di valutazione che hanno dimostrato come il trattamento combinato, consistente nell’aggiungere la TA – terapia assistita – ai trattamenti neurofacilitatori tradizionali, ha portato a regressione parziale o totale di una serie di quadri patologici:

– risoluzione di deviazioni della colonna;
– raggiungimento di una forza muscolare adeguata;
– coordinazione semplice e complessa dei movimenti;
– raggiungimento della stazione eretta (evitando flessioni del tronco);
– risoluzione delle difficoltà a mantenere eretto il capo;
– sviluppo di una buona coordinazione nel movimento delle gambe;
– sviluppo corporeo adeguato in forme patologiche derivate da atresia del     verme del cervelletto e del corpo calloso;
– riduzione dell’ipertonia spastica ed anche di quella plastica.

Il modello terapeutico insito nell’ippoterapia non può tuttavia essere limitato agli aspetti del recupero funzionale medico-sanitario proprio perché coinvolge altri sistemi e, quindi, altre funzioni.

Sottolineiamo i buoni risultati ottenuti e comprovati nell’affrontare:

– disturbi del linguaggio (dislalia semplice e combinata; balbuzie; etc.);
– disturbi del comportamento;
– somatizzazioni ansiose collegate a disturbi sistemici (cardiopatie, neoplasie, deficit funzionali cronici, etc.);
– atteggiamenti ipocondriaci;
– cefalee reattive dell’infanzia (legate a scarsa valorizzazione del sé);
– ritardo dello sviluppo psicomotorio;
– deficit dell’apprendimento e dell’attenzione;
– difficoltà ad accettare i limiti imposti da qualche malattia che spesso
 indicano anche rifiuti verso le stesse pratiche riabilitative;
– rifiuto o difficoltà nell’alimentazione (bulimia e/o anoressia);
– difficoltà nel controllo degli sfinteri.

Tutte queste reazioni psicopatologiche ricevono un grande beneficio dall’ippoterapia proprio perché si mette in atto un processo educativo che induce:

– miglioramento del senso personale di competenza e di efficienza fisica e/o
– psichica;
– ristrutturazione delle valenze adattive dell’IO;
– controllo delle crisi di ansia reattiva;
– contenimento degli atteggiamenti ipocondriaci messi in moto dalla non
– accettazione delle difficoltà;
– risoluzione delle difficoltà ad accettare il rapporto sociale per atteggiamenti di auto-discredito e di auto-svalorizzazione.

Il trattamento riabilitativo per mezzo del cavallo prevede anche una attività svolta a terra e che consiste:

• riassetto del cavallo;
• manutenzione dei finimenti e delle selle;
• riordino delle stalle e degli ambienti annessi;
• preparazione e somministrazione degli alimenti;
• organizzazione delle sedute di ippoterapia in tutti i suoi aspetti: organizzativi; programmatici; preparazione del cavallo con i finimenti appropriati ed anche il suo adattamento emotivo attraverso sgambature ecc.

 Tutte queste attività richiedono, da parte di chi è proposto al lavoro a terra:

• interiorizzazione del proprio schema corporeo;
• uso preciso delle articolazioni motorie fini e complesse;
• buon senso percettivo;
• coordinazione oculo-manuale;
• spirito di adattamento;
• volontà e tenuta sui compiti;
• controllo delle idiosincrasie personali oltre che dei naturali timori nel lavoro con animali così grandi;
• sensibilità e capacità di mettersi in relazione con un altro essere vivente che ha le sue proprie caratteristiche, idiosincrasie, preferenze, ecc.

in altre parole, vengono richieste all’operatore:

• un processo continuo di apprendimento di modelli di movimento semplici e complessi;
• sviluppo e integrazione di funzioni percettive e neurofunzionali;
• reciproco scambio emotivo-relazionale con gli animali e con gli altri operatori;
• sicurezza di sé, volontà e tenuta sulle mansioni e sui compiti;
• rispetto e integrazione con l’ambiente;

e, sotto un altro profilo:

• percezione e rappresentazione del proprio corpo nelle sue parti (schema corporeo), nelle sue specifiche funzioni, nelle potenzialità, nel senso di piacere che il rapporto con il proprio corpo può dare;
• integrazione delle proprie “sensazioni” con le risposte degli altri;
• sviluppo globale del proprio sistema percettivo che comprende, oltre ai cinque sensi, anche l’equilibrio e la valutazione precisa della forza muscolare e della precisione dei movimenti perché risultino “utili” ed adeguati allo scopo;
• orientamento spazio-temporale;
• capacità per la comprensione degli ordini;
• costante attenzione e capacità di reagire ai bisogni ed alle indicazioni;
• sviluppo di un sistema rappresentazionale condiviso (che include anche il sé e l’Altro);
• capacità di trasmettere i propri dubbi e le proprie difficoltà per poter ricevere e offrire aiuto;
• disponibilità a relazionare sui fatti e sugli accadimenti con precisione ed attenzione.

Considerato sotto questo profilo, il lavoro a terra diventa una parte importante del programma riabilitativo dell’ippoterapia sia per quanto riguarda le disabilità fisiche che per quelle psichiche.
Il soggetto posto a lavorare con il cavallo deve superare molte difficoltà e ostacoli con un lavoro che, se da un lato può assumere aspetti ludico-ricreativi, per altro impone una completezza psicomotoria, molto equilibrio emotivo, capacità cognitive e di apprendimento, disponibilità educative.

La pulizia del cavallo comporta saper usare correttamente la striglia, la brusca, il bruscone, il nettapiedi, il pettine, la spazzola, il raschietto, l’acqua. Tutti strumenti che richiedono conoscenza, abilità, coordinazione, forza, equilibrio, precisione, ma anche un trasporto affettivo verso il cavallo, un valido senso di sé per superare paure e sensi di incapacità, una sensibilità spiccata insieme a coordinazione motoria e capacità di adattamento.
Questa attività che ha molte caratteristiche di “maternage” è particolarmente importante per far sviluppare un senso di:

• adattamento;
• dedizione al compito ed all’animale;
• consapevolezza di essere in grado di assolvere un compito;
• capacità per realizzare una “relazione” che comporta una reciproca accettazione e che, quindi, può dare veramente soddisfazione e autovalorizzazione.

Sono tali e tante le difficoltà da superare in questo lavoro che preparare i ragazzi a svolgere le mansioni a volte si dimostra più problematico dello stesso andare a cavallo. Sovente il soggetto ha un vero terrore di avvicinarsi al cavallo ed anche solo posargli una coperta sulla groppa diventa un “problema insormontabile”; non si tratta di insegnare come fare, ma aiutare a vincere riluttanze, ad aver fiducia nelle proprie capacità e nella disponibilità-accettazione del cavallo.
Evidentemente ogni gesto dell’operatore fa rinascere sensazioni e vissuti pregressi e spesso il terapeuta-addestratore trova gravi intoppi in questa attività, imprevisti blocchi e reazioni di angoscia.
C’è anche la possibilità di una svalorizzazione di questo lavoro (magari anche da parte dei genitori) che può produrre rifiuti, ma anche insperate accettazioni proprio perché le attività possono risultare istintivamente più consone alle capacità e/o attitudini personali del soggetto, che può vivere invece irraggiungibile il ruolo di cavaliere.
Indubbiamente il lavoro con il cavallo può causare:

• rifiuti e quindi movimenti imprevedibili e pericolosi;
• risposte esasperate e stimoli poco misurati;
• idiosincrasie negative;
• movimenti del cavallo inappropriati alle lentezze ed alle difficoltà per esempio di ragazzi impediti ed anche intralciati, trovandosi seduti su di una carrozzina.
In questa attività si dà anche particolare importanza alla comunicazione verbale per le possibilità legate al dover imparare le denominazioni degli attrezzi e dei gesti operativi, oltre che delle necessità di dover relazionare su quanto si è fatto, sulle risposte dei cavalli, sulle richieste per poter eseguire con precisione il proprio compito.

Il processo di “riabilitazione globale” attraverso l’uso del cavallo raggiunge la sua massima estrinsecazione nelle fasi presportiva e sportiva. Mentre quest’ultima rappresenta l’inserimento in un vero “club ippico” dove il bambino reintegrato può svolgere tutte le attività attinenti insieme ai “normali”, la fase di “presport” rappresenta ancora uno spazio operativo che può essere indicato come “ultimo gradino della cura”.

Per iniziare la “pre-sportiva” i bambini devono aver raggiunto i prerequisiti indispensabili che possiamo indicare nuovamente in:
– sufficiente attenzione sul compito e tenuta nel tempo (almeno due ore);
– buona coordinazione motoria semplice e complessa con sufficiente coordinazione oculo-manuale;
– valido senso di sé perché il soggetto possa accettare un impegno che richiede, oltre all’attenzione, buona capacità di comprensione e di comunicazione verbale e non verbale;
–  capacità di vivere ed esprimere valenze affettive che cioè ci sia una buona integrazione valorativo con il cavallo e con il terapeuta;
– sufficienti capacità cognitive per trarre deduzioni, comprendere gli ordini, trasmettere i bisogni;
– sistema rappresentazionale valido e condivisibile per evitare aloni semantici che giocano un ruolo decisamente negativo e che possano portare a vanificare gli sforzi;
– accettazione e rispetto degli ordini perché la libertà d’azione individuale non sia un rischio per l’incolumità propria e degli altri;
– capacità di lavorare non solo in forma indipendente, ma anche in gruppo, rispettando i tempi ed i modi propri e degli altri, sotto la guida del terapeuta che, da lontano, guida gli esercizi.

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