BULLISMO: CHE FARE?

Forme di intervento contro le prepotenze e l’aggressività nelle scuole. Dalla prevenzione al recupero.

Dalla carta stampata: Un bambino di 4 anni, a Padova, durante la ricreazione viene aggredito da tre bambini di 5 anni che gli portano via la sorpresina di un ovetto Kinder. Il bambino ha riportato una serie di contusioni ed una prognosi di 15 giorni (La Stampa); uno studente tredicenne della provincia di Modena per mesi è stato costretto da due baby-taglieggiatori a consegnare dei soldi sotto la minaccia di percosse (l’Unità).
Col termine di bullismo si intende la molestia e la violenza da parte di un singolo individuo o da parte di un gruppo su un altro soggetto. Un ragazzo è oggetto di azioni di bullismo, o è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, ad azioni offensive messe in atto da uno o più compagni. Per parlare di bullismo vi deve essere un’asimmetria nella relazione, nel senso che lo studente esposto ad azioni offensive ha difficoltà a difendersi e si trova in una situazione di impotenza contro chi lo molesta. Si distingue tra bullismo diretto, che si manifesta in attacchi relativamente aperti nei confronti della vittima, e bullismo indiretto, che consiste in una forma di isolamento sociale e in un intenzionale esclusione dal gruppo. Il bullismo può essere manifestato da un singolo individuo (il bullo) o da un gruppo.

In merito al bullismo, vari sono i motivi che sollecitano un intervento risolutivo:

a) Innanzitutto, la salvaguardia dei principi democratici di base, il diritto fondamentale di ogni minore di sentirsi al sicuro e di non essere oppresso e umiliato. Nessuno studente dovrebbe temere di andare a scuola per paura di essere molestato o disprezzato, e nessun genitore dovrebbe temere che ciò possa accadere al proprio figlio.
b) Si ricordi che chi si esprime con tanta violenza sente un livello di sofferenza così alta da non trovare altro modo per esprimerlo, per cui ha bisogno di essere assistito e non etichettato. Di fatto i bulli, se non vengono aiutati a modificare i loro comportamenti aggressivi, possono continuare ad usare modalità aggressive nelle loro relazioni interpersonali. Questi ragazzi, da adulti, corrono il rischio di sviluppare comportamenti antisociali e altri comportamenti problematici, come l’abuso di sostanze, come alcool e droghe. Gli studi sottolineano che circa il 45% degli ex bulli entro il 24° anno di età, sono stati condannati in tribunale per almeno tre crimini.
c) Anche le vittime dei bulli hanno vita difficile. Possono sentirsi oltraggiate, possono provare il desiderio di non andare a scuola, sviluppare diverse somatizzazioni (mal di testa, mal di pancia, incubi, attacchi d’ansia…) e nel corso del tempo è probabile che perdano sicurezza, autostima, rimproverandosi di attirare le prepotenze dei propri compagni. Questo disagio può influire sulla loro concentrazione e sul loro apprendimento. Addirittura in certi casi, subire comportamenti prepotenti può mettere in serio pericolo di vita, portando lesioni gravi o perfino al suicidio. Gli alunni che nel corso degli anni sono stati spesso vittime di prepotenze hanno più probabilità, da adulti, di soffrire di episodi depressivi.
L’incidenza maggiore di atti di bullismo si verifica nell’ambito scolastico.
Secondo alcuni dati il bullismo va a mano a mano diminuendo nel passaggio dalle elementari alle medie, e generalmente la prepotenza fisica risulta meno frequente con l’aumentare dell’età. Sono per lo più i bambini maschi a rivestire il ruolo di bulli, e lo esercitano soprattutto offendendo le loro vittime. Teatro di questi episodi sono l’aula o il tragitto da casa a scuola.  Le cause di questo fenomeno sono tante e diverse e vanno fatte risalire sia alla famiglia del bullo, in cui spesso vigono sistemi educativi troppo permissivi o, al contrario, eccessivamente troppo autoritari, sia alla scuola, in cui non esistono regole democraticamente condivise all’interno della classe. Anzi, sovente nel gruppo prevale un certo lassismo oppure, anche qui all’opposto, il dispotismo
Sembra che il fenomeno si manifesti in forme più gravi e con maggiore frequenza oggi rispetto ad una decina di anni fa anche se una serie di ricerche sul fenomeno del bullismo (Fonzi 1995, 1996) condotte in scuole elementari e medie di Firenze e Cosenza, cioè in aree del paese tra loro diverse per ragioni culturali, sociali ed economiche, evidenziano che anche nel nostro Paese il fenomeno del bullismo a scuola esiste in forma massiccia raggiungendo, come frequenza di bullismo subìto, quasi il 46% nelle scuole elementari di Firenze e il 38% nelle scuole di Cosenza, e il 30% nelle scuole medie di entrambe le zone.
Compito dell’istituzione scolastica è quindi quello di non sottovalutare nessun fenomeno che arrechi un qualche danno, perché ogni atto può sfociare in delinquenza..

L’intervento nella scuola attualmente vede attivi due orientamenti: uno volto alla prevenzione del fenomeno quale manifestazione di un attuale disagio giovanile ed un’altro volto alla repressione di un atteggiamento classificato come estraneo al contesto (meccanismo di difesa della società). Quest’ultimo atteggiamento ritiene che la scuola, come istituzione, gli insegnanti insigniti del ruolo di pubblico ufficiale hanno l’obbligo di segnalare ogni fenomeno “anormale”, nel senso di fuori norma, poi potrà intervenire la Procura della Repubblica per indagare sui fatti accaduti. La denuncia può scaturire qualora la conseguenza di un evento porti ad un danno a carico della persona che ne è vittima. Il bullo si afferma con valori negativi e a scuola sono essenzialmente due: la preponderanza fisica e  il guadagno facile; sono messaggi educativamente distruttivi.
Altro atteggiamento invece è quello di prevenzione del disagio e dell’affermazione dei valori; i ragazzi di oggi non sono abituati a rispettare delle regole precise, sembra che tutto sia “scavalcabile”, ciò accade perché non si danno loro informazioni sufficienti ed adeguate, se si insegnassero i valori civili e costituzionali di base si potrebbe fare opera di prevenzione già dai banchi di scuola. Far comprendere agli alunni che le Istituzioni sono la garanzia dei diritti dell’individuo, così nella scuola devono essere garantiti il diritto allo studio, alla salute, alla dignità personale.
La scuola può fare molto per contrastare questo fenomeno”, sollecitando i genitori, ricordando all’opinione pubblica ed agli adulti che il problema esiste. Bisogna essere consapevoli che nella scuola ci sono bambini e ragazzi che stanno male a causa di loro coetanei che si comportano con prepotenza nei loro confronti .
Gli insegnanti tuttavia non sembrano dedicare la giusta attenzione al fenomeno né mettere in atto strategie di intervento diretto per contrastarlo.Gli insegnanti sembrano trascurare la discussione con gli studenti, proprio loro che invece sono le figure che possono mettere in atto strategie di intervento diretto. I ragazzi sono molto sensibili al gruppo e si adeguano alle norme che da esso scaturiscono. Ecco che la discussione in classe su quali siano i giusti atteggiamenti da tenere produce il risultato della creazione di norme comportamentali partorite dal gruppo e quindi maggiormente rispettate dai componenti del gruppo stesso. Così se un ragazzo si sente un grande sottomettendone un altro ma il gruppo “decide” che tale atteggiamento appartiene solo ad una persona sciocca e priva di personalità, il soggetto avrà meno possibilità di attivare questo tipo di comportamento.
Gli atteggiamenti e il comportamento del personale scolastico, in particolare degli insegnanti, sono  determinanti nella prevenzione e nel controllo delle azioni di bullismo, così come nel trasformare tali manifestazioni di aggressività in forme socialmente più accettabili.

A questo proposito è interessante esaminare il risultato di un programma di intervento articolato, partito da istanze conoscitive e scientifiche, derivato dalle ricerche sullo sviluppo e sulla modificazione dei disturbi del comportamento, in particolare del comportamento aggressivo, che è stato condotto in Svezia in 20 scuole di diverso grado. Questo programma di intervento è approdato a risposte concrete e ad una operatività fattuale che ha alla base il rifiuto di neutralità, silenzi, connivenze. Il programma ha previsto misure a livelli diversi ma tra loro interagenti: da quello istituzionale, a livello di scuola, a quello della classe e a quello individuale, miranti a sviluppare atteggiamenti e creare condizioni per attenuare l’entità del fenomeno e prevenirne lo sviluppo. A livello di scuola il programma prevedeva la raccolta di questionari, dibattiti sul problema del bullismo, controlli durante i periodi di intervallo e di mensa, realizzazione di ambienti più adeguati per la ricreazione; inoltre, rapporti più intensi e sistematici tra insegnanti e genitori, gruppi di studio fra i docenti per lo sviluppo di un buon clima scolastico, incontri tra genitori. A livello di classe si è cercato di definire concettualmente e concretamente il fenomeno del bullismo, definendo regole, fornendo chiarimenti con supporto della letteratura e del role-playing, elogi e sanzioni, incontri di classe sistematici, apprendimento cooperativo, attività positive comuni, incontri tra genitori, insegnanti e alunni. A livello individuale l’obiettivo è stato quello di cambiare il comportamento sia degli studenti identificati come vittime, sia di quelli identificati come bulli attraverso colloqui approfonditi con loro e con i genitori degli studenti direttamente coinvolti nel bullismo. Sono stati coinvolti gli insegnanti e operatori dell’ambiente scolastico, nonchè gli studenti neutrali; i problemi emersi e gli obiettivi venivano poi discussi in riunioni di genitori di bulli e vittime. Si è ricorso anche a trasferimenti in altre classi o scuole. Il programma d’intervento in sostanza è volto a: creare a scuola (e di riflesso anche a casa) un ambiente caldo e accogliente, caratterizzato dalla partecipazione attiva e positiva degli adulti, e porre limiti precisi di fronte a comportamenti inaccettabili, applicando sanzioni non ostili né fisiche in caso di trasgressione delle regole e dei limiti fissati. Si è ispirato a principi che caratterizzano un modello educativo di interazione autorevole e non autoritaria tra adulto e bambino, opposto a quello basato su permissivismo, mancanza di chiari limiti, uso di metodi assertivi autoritari. I provvedimenti previsti hanno inteso: promuovere la conoscenza e la consapevolezza dei problemi connessi al bullismo; stimolare il coinvolgimento attivo di genitori e insegnanti; sviluppare chiare regole contro il bullismo; portare a livello di discussioni di classe azioni di prevaricazione in situazioni concrete e sanzioni da applicare ai trasgressori; fornire sostegno e protezione alle vittime. Gli effetti di questo programma di intervento hanno portato a risultati positivi, consistenti nella marcata riduzione, di circa il 50% o più, dei problemi di bullismo durante i due anni che hanno seguito l’introduzione del programma di intervento, sia per il bullismo diretto che indiretto, per entrambi i sessi e per tutte le classi considerate; e del comportamento antisociale in generale (vandalismo, risse, furto, alcolismo e calunnie); in marcati miglioramenti relativi al “clima scolastico” (miglioramento dell’ordine e della disciplina, rapporti sociali più positivi, un atteggiamento più positivo verso il lavoro scolastico e nei confronti della scuola); nella riduzione dei problemi di vittimizzazione esistenti e del numero e percentuale di nuove vittime; in un maggiore grado di soddisfazione da parte degli studenti per la vita scolastica. Si può in sostanza concludere che l’estensione o la riduzione del fenomeno del bullismo dipende in buona parte dalla volontà e dal coinvolgimento degli adulti interessati, sia familiari che educatori, che hanno la responsabilità di assicurare al bambino le condizioni migliori per il suo sviluppo, e di favorire la consapevolezza dei valori della socialità fin dall’infanzia.

A mio parere è bene dar valore  ad un tipo di intervento con bambini e ragazzi che  deve essere preventivo rispetto a segnali più o meno sommersi del disagio e rispetto alle fisiologiche crisi evolutive. Risulta poco utile agire sul disturbo e sulla psicopatologia ormai conclamata. La specificità di un intervento preventivo è quindi rivolto a tutti gli alunni e non direttamente ai “bulli” e alle loro vittime, perché, alfine di un cambiamento stabile e duraturo, risulta maggiormente efficace agire sulla comunità degli spettatori. È importante sottolineare questo punto perché, come indicato in letteratura, è inefficace l’intervento psicologico individuale sul “bullo”. Infatti il “bullo” non è motivato al cambiamento in quanto le sue azioni non sono percepite da lui come un problema, e queste sono un problema soltanto per la vittima, gli insegnanti e il contesto. L’intervento diretto sulla vittima, pur efficace a fini individuali, non lo è per quanto riguarda la riduzione del fenomeno del “bullismo”. Quella vittima cesserà di essere tale e il bullo ne cercherà presto un’altra nel medesimo contesto. Per questi motivi è necessario attuare un programma di intervento pluriennale di carattere preventivo e diretto al gruppo classe/scuola. Questo intervento rappresenta un’occasione di crescita per il gruppo classe stesso che, attraverso un maggiore dialogo ed una maggiore consapevolezza di pensieri, emozioni ed azioni, diventerà risorsa e sostegno per ciascun membro della classe.

È inutile sottolineare che per rendere efficace e duraturo questo tipo di prevenzione, è necessario che gli insegnanti, gli educatori e le famiglie collaborino, come modelli e come soggetti promotori di modalità adeguate di interazione, affinché l’esempio possa essere acquisito e diventare uno stile di vita per i ragazzi. Ciò diviene particolarmente importante se si considera che le competenze sociali acquisite diventano tratti fissi del carattere, mattoni della struttura della personalità che si sviluppa in comportamenti adeguati o disadattati. Il compito degli insegnanti è quindi quello di intervenire precocemente finché permangono le condizioni per modificare gli atteggiamenti inadeguati. Per migliorare la collaborazione con le famiglie è importante che si spieghi anche ai genitori che i loro figli possono assumere diversi atteggiamenti a seconda degli ambienti in cui si trovano. Questo è utile per prevenire la sorpresa delle famiglie nello scoprire modalità di comportamento differenti a casa e a scuola.
Poiché non infrequentemente alla radice dei comportamenti prepotenti dei ragazzi vi è un clima familiare carente o perché troppo permissivo e tollerante o perché troppo coercitivo, una efficace opera di prevenzione potrebbe essere sviluppata attraverso una corresponsabilizzazione  dei genitori. Ma se il fenomeno non dipende più tanto dallo svantaggio socio-economico, è invece possibile secondo gli osservatori definire “un clima familiare”, che aiuta l’insorgere del bullismo: mancanza di coesione del gruppo familiare e di una chiara differenziazione dei ruoli e il passaggio del patrimonio di valori trasmessi dai genitori che determinano le strategie in cui i bambini affrontano al vita di tutti i giorni.
Per quanto riguarda le famiglie, risulta che i genitori delle vittime e, in particolare, quelli dei prevaricatori, generalmente non sono a conoscenza del problema, e di conseguenza ne parlano poco coi figli. Diversi studi svedesi, americani e inglesi confermano che il comportamento aggressivo, così come la tendenza ad essere vittimizzato, sono caratteristiche individuali piuttosto stabili che possono durare a lungo, spesso diversi anni: gli studenti prevaricati per un certo periodo di tempo tendono a rimanerlo a lungo; allo stesso modo, gli studenti risultati aggressivi con i loro coetanei in un determinato periodo hanno mostrato la tendenza ad esserlo anche successivamente, a distanza di un certo arco di tempo. I dati emersi dalle ricerche sembrano dimostrare che il comportamento aggressivo dei bulli verso i coetanei non sia da considerare come una conseguenza ed una reazione alle frustrazioni e ai fallimenti scolastici. Non necessariamente il prevaricatore è un ragazzo che attraversa esperienze di emarginazione sociale o vive in una situazione familiare problematica, che rientra cioè nella categoria del bambino “difficile”, ma spesso è un ragazzo normale che vive in una famiglia apparentemente regolare e senza problemi.
Spesso i genitori sono all’oscuro degli episodi di bullismo di cui i figli sono vittime o carnefici; alcuni sottovalutano la gravità dei comportamenti pensando che si tratti di ragazzate, altri si rendono vittime loro stessi delle vessazioni cui sono costretti i figli.
Molti  genitori di ragazzi artefici di atti di bullismo invece negano che i figli possano aver avuto siffatti comportamenti.
Un esempio è quello di una violenza di gruppo ai danni di una ragazza da parte degli amici di comitiva (non sfociata in violenza carnale per una pronta fuga della vittima); i “bulli- aggressori” erano tutti minorenni e per loro era stata chiesta dal Procuratore una custodia cautelare negata dal GIP perché il fatto non appariva tanto grave, il Procuratore non si è fermato a questa decisione ed è andato avanti con il procedimento tanto da incontrare le mamme di questi minori che hanno “aggredito” verbalmente e, in parte, fisicamente il magistrato negando che fosse accaduto quanto denunciato a carico dei figli. Ai ragazzi è stata proposta una “Messa alla Prova” (art.28 del Codice Procedura Penale Minorile) andata a buon fine e che ha reso “più maturi” e consapevoli dell’accaduto i bulli, mentre le madri dei ragazzi sono rimaste ferme sulle loro posizioni, continuando a negare la colpevolezza dei loro ragazzi.
Abbiamo anche il  caso di Milano dove i genitori di minorenni che in gruppo hanno molestato una ragazza, dato il loro atteggiamento diseducativo di estrema difesa dei figli, sono stati condannati a risarcire la vittima attraverso la confisca dei loro beni (quelli dei genitori, ritenuti poco attenti ai figli e quindi anche loro colpevoli).
Ovviamente, ci sono anche genitori che, messi al corrente dai figli, intervengono attraverso denunce più o meno formali o attraverso mediazioni personali tra i bulli e le vittime (soprattutto da parte dei genitori delle vittime).
Quindi, scoraggiare la cultura bullistica vuol dire promuovere una cultura sociale che faccia riferimento a valori positivi, come l’interazione, la socializzazione, l’accettazione degli altri e la collaborazione. Inoltre, la condivisione di un atteggiamento antibullistico può rendere l’ambiente scolastico più sereno, consentendo di migliorare la qualità della vita dei bambini, la loro salute psicofisica ed il conseguente apprendimento scolastico (un bimbo sereno apprende meglio i contenuti scolastici). Pertanto è indispensabile cercare di bloccare questo tipo di comportamento e orientare i ragazzi verso modi di essere più accettabili e socialmente adeguati.Il primo passo è, proprio la conoscenza, ossia, avere il coraggio di chiedersi criticamente cosa sta accadendo ai propri alunni, ai propri figli, senza trincerarsi dietro l’omertà e la paura di scoprire la presenza di tali problematiche.

Cercando di delineare un profilo del prevaricatore e della vittima, le caratteristiche esteriori non sembrano avere influenza se non quella della forza fisica, che nei bulli è maggiore della media dei ragazzi e, in particolare, delle vittime, le quali invece sono solitamente più deboli dei ragazzi in generale. Queste caratteristiche personali possono giocare un ruolo di una certa importanza nelle forme più leggere di bullismo. Le vittime sembrano soprattutto contraddistinguersi per essere solitamente più ansiose e insicure degli studenti in generale, e più spesso caute, sensibili e più calme, che in genere, se attaccate da altri compagni, reagiscono piangendo o chiudendosi in se stesse; soffrono di scarsa autostima e hanno un’opinione negativa di sé e della propria situazione; si sentono timide o poco attraenti, e vivono a scuola una situazione di solitudine e di abbandono. E’ il tipo di vittima che viene definita passiva o sottomessa, il cui comportamento e atteggiamento segnala agli altri l’insicurezza e incapacità, nonché l’impossibilità o difficoltà di reagire di fronte agli insulti ricevuti. In altre parole è caratterizzato da un “modello reattivo ansioso o sottomesso, associato a debolezza fisica”. Nello stesso tempo, l’attacco ripetuto da parte dei coetanei aumenta la sua ansia, insicurezza e valutazione negativa di sé. Le vittime hanno spesso avuto nella prima infanzia, rispetto ai ragazzi in generale, rapporti più intimi e positivi con i loro genitori, in particolare con la madre, rapporto stretto che è talvolta percepito dagli insegnanti come espressione di iperprotezione; è ipotizzabile che le tendenze verso l’iperprotezione siano allo stesso tempo una causa e una conseguenza del bullismo. Un altro tipo di vittime, cosiddette “provocatrici”, sono caratterizzate da una combinazione di entrambi i modelli reattivi, quello ansioso e quello aggressivo: alcuni possono essere definiti iperattivi, o si comportano in modo tale da causare irritazione e tensione, e non di rado reazioni negative da parte di molti compagni o di tutta la classe. I ragazzi prepotenti sono invece caratterizzati da un “modello reattivo aggressivo associato, se maschi, alla forza fisica”: esprimono cioè notevole aggressività, verso i coetanei e spesso anche verso gli adulti, sia genitori che insegnanti; sono impulsivi, hanno un forte bisogno di dominare gli altri, mentre mostrano scarsa empatia nei confronti delle vittime; se maschi, tendono ad essere fisicamente più forti dei maschi in generale e delle vittime in particolare. Hanno spesso un’opinione relativamente positiva di se stessi; mostrano poca ansia e insicurezza, e hanno grosse difficoltà di comunicazione. Vi sono poi i cosiddetti bulli passivi, seguaci o sobillatori, studenti cioè che partecipano al bullismo ma che abitualmente non prendono iniziative, e possono comprendere anche soggetti insicuri e ansiosi. Le cause psicologiche che soggiacciono al comportamento del bullo sembrano essere: un forte bisogno di potere e dominio, per cui sembrano godere nel controllare e sottomettere gli altri; condizioni familiari sovente inadeguate, in cui possono avere sviluppato un certo grado di ostilità verso l’ambiente, e ciò può spiegare la soddisfazione provata nel provocare danno e sofferenza agli altri; ed una componente strumentale, per la quale i bulli spesso costringono le vittime a procurare loro denaro, sigarette o oggetti di valore. Il bullismo può essere considerato come aspetto di un più generale comportamento antisociale, che si caratterizza per la mancanza di rispetto delle regole. Gli stili educativi familiari e le condizioni che possono aver favorito durante l’infanzia lo sviluppo di tale modello, sono risultati un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore e di coinvolgimento, da parte dei genitori ed in particolare della figura che principalmente si prende cura del bambino nei primi anni di età (in genere la madre); un atteggiamento educativo permissivo e tollerante, che non pone chiari limiti al comportamento aggressivo del bambino; l’uso coercitivo del “potere” da parte del genitore, in forma di punizioni fisiche e violente esplosioni emotive. In sostanza poco amore, poca cura e troppa libertà nell’infanzia sembrano essere le condizioni che contribuiscono fortemente allo sviluppo di un modello aggressivo. Vi sono poi spesso problemi familiari di fondo: rapporti conflittuali tra i genitori, divorzio, disturbi psichiatrici, alcolismo, tossicodipendenza, ecc.


L’analisi dei fattori che incidono sul fenomeno e lo determinano richiama una molteplicità causale dei fattori che intervengono nella manifestazione di tale tipo di disadattamento, sottolineando la compresenza di caratteristiche personali e ambientali nel determinare il rischio psicosociale. Sia in Italia che in Inghilterra i soggetti implicati nel bullismo presentano alcune caratteristiche simili per quanto riguarda la rete dei rapporti familiari: nelle famiglie dei bambini bulli risulta spesso l’assenza del padre naturale a casa, un basso grado di coesione tra i genitori e tra il bambino e ogni genitore; questa invece risulta più alta nel caso delle vittime. Inoltre per quanto riguarda le caratteristiche individuali, sia la condizione di vittima che di bullo appare legata a difficoltà nel riconoscere e valutare le emozioni e i loro specifici segnali emotivi, specialmente per le vittime per quanto riguarda la rabbia, il che potrebbe impedire loro di riconoscere il potenziale aggressore per potersene difendere; ed inoltre l’incapacità di leggere tale emozione potrebbe impedire il controllo delle proprie manifestazioni comportamentali provocando ulteriormente la rabbia dell’altro. Nei bulli si riscontra invece una generale immaturità nel riconoscimento delle emozioni, che soprattutto riguarda la felicità. Per quanto riguarda la posizione sociale occupata dai soggetti nel gruppo dei pari, sia essere bullo che vittima risultano associati ad una percezione negativa da parte del gruppo dei compagni durante la scuola elementare; inoltre, mentre le vittime sono accomunate da uno stile educativo parentale di indifferenza, i bulli sono spesso oggetto di un atteggiamento di approvazione-rinforzo da parte dei familiari. Risulta evidente da molti studi che sia nei ragazzi che negli adulti il comportamento aggressivo può essere stimolato dall’osservazione degli atteggiamenti e dei comportamenti di un “modello” che agisce aggressivamente, e ancor più se questo viene valutato positivamente dall’osservatore, come duro, coraggioso e forte. Maggiormente influenzabili in tal senso sono i ragazzi insicuri e dipendenti (passivi, gregari), che non godono di considerazione all’interno del gruppo dei coetanei e desiderano affermarsi. Questo tipo di effetto è definito “contagio sociale”. Inoltre gioca un ruolo importante l’indebolirsi del controllo e dell’inibizione nei confronti delle tendenze aggressive: l’osservazione di un modello che viene ricompensato per il comportamento aggressivo porta ad una diminuzione delle inibizioni dell’osservatore nei confronti della propria aggressività. Nel bullismo questo meccanismo agisce in quanto il bullo (modello) viene ricompensato dalla vittoria riportata sulla vittima, ed inoltre il suo comportamento risulta produrre scarse conseguenze negative da parte sia degli insegnanti che dei genitori e dei coetanei. Infine certi studenti non aggressivi possono partecipare ad episodi di bullismo per una diminuzione e diluizione del senso di responsabilità individuale che riduce il senso di colpa dopo l’episodio collettivo; questo può accompagnarsi ad una distorsione cognitiva che porta a percepire gradualmente la vittima come persona incapace, che “merita” di essere molestata. E’ evidente in ciò anche l’influenza dei mass-media nell’aumentare l’entità del fenomeno: estese ricerche internazionali indicano che i bambini e gli adolescenti che assistono a molti episodi di violenza alla TV o al cinema spesso risultano più aggressivi e mostrano meno empatia verso le vittime dell’aggressione.


Gli studi hanno evidenziato alcuni fattori che sembrano essere alla base del comportamento aggressivo. Sicuramente un ruolo importante è da attribuire al temperamento del bambino. Un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore e di coinvolgimento, da parte delle persone che si prendono cura del bambino in tenera età, è un ulteriore fattore importante nello sviluppo di modalità aggressive nella relazione con gli altri. Anche l’eccessiva permissività e tolleranza verso l’aggressività manifestata verso i coetanei e i fratelli crea le condizioni per lo sviluppo di una modalità aggressiva stabile. Un ruolo importante è ricoperto anche dal modello genitoriale nel gestire il potere. L’uso eccessivo di punizioni fisiche porta il bambino ad utilizzarle come strumento per far rispettare le proprie regole. E’ importante che siano espresse le regole da rispettare e da seguire ma non è educativo ricorrere soltanto alla punizione fisica. Queste non sono sicuramente le uniche cause del fenomeno, anzi, si può dire che esso è inserito in un reticolo di fattori concatenati tra loro. È, comunque, certo che le condotte inadeguate si verifichino, con maggior probabilità quando i genitori non sono a conoscenza di ciò che fanno i figli o quando non hanno saputo fornire adeguatamente i limiti oltre i quali certi comportamenti non sono consentiti. Gli stili educativi rappresentano infatti un fattore cruciale per lo sviluppo o meno delle condotte inadeguate. È interessante sottolineare come il grado di istruzione dei genitori, il livello socio-economico e il tipo di abilitazione non sembrano essere correlate con le condotte aggressive dei figli. A livello sociale si è visto come anche i fattori di gruppo favoriscano questi episodi. All’interno del gruppo c’è un indebolimento del controllo e dell’inibizione delle condotte negative e si sviluppa una riduzione della responsabilità individuale. Questi fattori fanno sì che in presenza di ragazzi aggressivi anche coloro che generalmente non lo sono lo possano diventare. Per evitare che un bambino ansioso e insicuro diventi una vittima è importante che i genitori lo aiutino a trovare una migliore autostima, una maggiore autonomia e gli forniscano degli strumenti adeguati per affermarsi nel gruppo dei coetanei. Alcune ricerche hanno dimostrato che non esiste correlazione fra la frequenza degli episodi di bullismo e l’ampiezza della scuola e della classe né tanto meno che il fenomeno si manifesti con maggior incidenza nelle grandi città. Inoltre l’essere bullo o vittima è una condizione che perdura nel tempo.

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